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  • Immagine del redattoreDiana Letizia

Una lettera da Genova al Costa Rica: care Lya e Luna, vi racconto il "mio" Territorio de Zaguates





Mie care Lya e Luna,

come è andata la passeggiata oggi lì su a Carrizal? Mi piace pensarvi mentre piedi e zampe calpestano il terreno su quella montagna in Costa Rica, mentre camminate insieme verso mete indefinite in confini invisibili a occhio umano in un luogo che non esiste fin quando non si ha la fortuna di “trovarlo” e la possibilità grazie a voi due di andare a vederlo.


Il Territorio de Zaguates è un santuario in cui le anime si uniscono, individui di due specie diverse perdono il nome e nessuno però rinuncia alla sua individualità. Un luogo in cui qualsiasi definizione cinofila ha senso e non lo ha allo stesso tempo. E tutto quello a cui si è dato peso fino a quel momento per capire il rapporto speciale che c’è tra uomini e cani perde consistenza e soprattutto “arroganza” nozionistica da parte dell’uomo e diventa essenza di vita, possibilità reale di scambio senza giudizio, nella pura necessità - del corpo e dell’anima - di vivere semplicemente un’esperienza del genere. Nel Territorio la mente non comanda, ognuno è se stesso e altro da sé. Il Territorio fa diventare tutti "zaguates": randagi che semplicemente vivono la vita. Condividendone - quando lo desiderano - ogni passo, ogni riposo e ogni pozza d'acqua per abbeverarsi insieme.





Il Territorio poi, e voi due sapete bene com’è, rimane dentro di te e tu rimani per sempre su quella montagna anche a distanza di migliaia di chilometri. Anche qui. In una Genova che a sua volta è un altro “territorio”, ma di cani che vivono spesso costretti al guinzaglio: sì, come forma di tutela e anche rispetto di norme della società umana in cui giocoforza sono immersi, ma quasi sempre da umani che non hanno però alcun rispetto delle esigenze del loro stesso cane. Un territorio, quello dei nostri centri urbani, “occupato” da uomini e donne poco fiduciosi nei confronti della vita in generale e immersi nella costante incapacità di affrontare la propria esistenza e il confronto con gli altri. Un passaggio che sarebbe fondamentale ancora prima di interrogarsi, bene che succeda, su quello che provano individui di un altro universo cognitivo e emozionale.


Vivendo con voi, Luna e Lya, in quei giorni di marzo sulle alture di Carrizal ho assistito anche a conflitti tra cani che a volte si trasformavano in risse violente. Tra i sentieri e gli alberi della montagna ho visto “partire” centinaia di animali dietro “nemici” invisibili ai miei occhi e al mio naso umano e persone intervenire per sedare livelli di eccitazione elevati in gruppi di individui che non necessariamente scelgono di stare insieme. Ma che eppure lo fanno sempre per la stessa ragione - suppongo - che ho visto anche con i cani liberi a Taghazout, in Marocco, che mi avevano accolto nel loro branco: quel desiderio di essere vicini agli uomini più forte di ogni altra motivazione. Non da parte di tutti, sia chiaro. Eppure rimane una delle cose più “immediate” che continuo a osservare in loro e che ho ritrovato anche in quei giorni passati insieme a voi.






Questo testo, però, si è trasformato in una lettera proprio per non provare a definire - con pareri che si trasformano spesso in dogmi nel mondo della cinofilia - una parte e/o l’altra di un rapporto così complesso come quello tra umani e cani, pieno di sfaccettature diverse e delicatissime da analizzare anche a seconda di chi se lo vive. E queste parole hanno bisogno di destinatari che “sentano” più che comprendano quello che provo. Finanche solo la “confusione cinofila” con cui sono tornata a casa, emersa dai bagagli insieme ai panni sporchi e tra le foto e i video che mi restituiscono una me stessa felice e meravigliata di una vita che si offre in tutta la sua complicata semplicità.


E’ una lettera che descrive in fondo il mio bisogno di condividere ancora queste sensazioni con voi due. Con chi è lì, ogni giorno. Con chi mi ha lasciato entrare nel suo mondo con fiducia e con quella libertà di poterci muovere assieme: zampe e piedi e musi e volti e sorrisi e lacrime. Vite, umane e canine, semplicemente e completamente diverse ma così desiderose di essere vicine e simili.





Una lettera che allo stesso tempo però mi aiuta a iniziare a comprendere pensieri ancora mal formulati anche con lettori non solo attenti e interessati a trovare dati, informazioni e una disamina “professionale” - che mai come ora credo di non avere manco da un punto di vista giornalistico - di quel che accade quando sei in uno spazio immenso insieme a oltre 1000 cani liberi. Perché le mie parole chiedono, nei confronti di chi legge e che ringrazio per la pazienza di seguire questo flusso di parole così intimo, l’ascolto di una sintonia di emozioni e razionalità che Lya, Luna e voi tutti al Territorio mi avete trasmesso e che ancora conservo.


Ho trovato in Costa Rica un equilibrio personale che finalmente mi consente di non indagare più solo sui “perchè” ma anche sui “come”. E questa lettera, infine, invita chi sta leggendo a lasciarsi andare nel quotidiano a altre chiavi di lettura del rapporto tra specie e non solo alla curiosità di conoscere cosa succede dall'altra parte del mondo, dietro quel cancello blu che delimita l’entrata nel Territorio dopo che si è scalata la collina sopra a quel paesino sperduto di quattro negozi e un migliaio di anime. Pensate al vostro cane, a quello che vi sta accanto ogni giorno. Pensate ai cani degli altri e alle emozioni che esistono in ogni relazione prima di esprimere un qualsiasi giudizio. E solo dopo a un Costa Rica in cui tanti cani per le strade vivono indipendenti e felici ma molti di più anche lì vengono invece maltrattati, abbandonati o ridotti in catena.


Questo scritto, infine, vuole essere solo un accenno alle emozioni che ancora sto provando e mi perdonerete entrambe se una lettera, che di solito ha un senso intimo, privato quando si sceglie di scriverla, è diventata invece l’escamotage che ho trovato per rendere pubblico qualche momento della “nostra storia”.


Ah, prima di concludere, come si fa in seduta psicoanalitica quando la cosa più importante la si dice sempre alla fine, mi viene in mente che non ho specificato tra Luna e Lya chi è l’umana e chi il cane. In questo momento, per me, ha sì importanza ma non tanta quanto ne aveva come prima di visitare la “terra dei randagi”. Perché penso che entrambe sono due individui: ognuna di loro con uno specifico percorso di vita, le aspettative realizzate o meno e un’esperienza che consente all’una e l’altra di essere oggi ancora capaci di vivere il “qui ed ora” e allo stesso tempo di desiderare e progettare un futuro senza dimenticare il passato.


Perché quello che sicuramente ho capito al Territorio de Zaguates, pur nella confusione di emozioni e pensieri che chiaramente emerge da questo scritto, è che puoi essere un cane o un essere umano, ma ciò che conta è che ognuno è unico al mondo. E questa è una “caratteristica” intrinseca che entrambe le specie hanno.



Questa lettera è indirizzata a Lya e Luna e il video è stato realizzato con l’intento di tradurre in immagini le parole che ho scritto o viceversa per trovare le parole “giuste”. Prima del Costa Rica, però, ci sono state e ancora ci sono persone e cani che mi hanno sostenuto e spinto a conoscere questo “nuovo mondo”. A loro e ai cani che camminano nella vita insieme a loro va tutta la mia gratitudine. In particolare a Valentina Biedi e Daniela Grassi del Centro Relazione Uomo-Cane di B Dog Genova e a tutte le persone e ai cani che ho incontrato a Taghazout, in Marocco.

Per chi voglia farsi un’idea in termini prettamente giornalistici di quello che è il Santuario, della sua storia e di come è gestito, ci sarà poi un reportage come quello dedicato ai cani liberi di Taghazout.


English version available here | qui in inglese

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