Diana Letizia
Report Legambiente 2019: la fotografia di un Paese che non sa quanti cani ci sono in Italia

L'ottava edizione del dossier "Animali in città" di Legambiente rivela ancora una volta, grazie al lavoro scrupoloso dell'associazione, una fotografia sfocata e disequilibrata da Nord a Sud di un'Italia che non sa quanti sono gli animali, cani e gatti, che abitano lo Stivale insieme agli esseri umani nell'anno 2018 dopo Cristo.
Il lavoro imponente svolto da Legambiente, nonostante la scarsità di collaborazione da parte di molti dei soggetti a cui era stato chiesto di fornire informazioni (amministrazioni pubbliche in primis), è stato presentato a Napoli questa mattina. Un dossier ben sviluppato anche sul Web (a questo indirizzo) che descrive un Paese in cui la bruocrazia ha sommerso anche gli animali e nelle cui pieghe si dovrebbe dipanare invece la matassa di disinteresse alla trasparenza e la continua indifferenza al rispetto della legge a seconda del Comune in cui si vive.
L’indagine di Legambiente analizza, infatti, i dati forniti dalle poche amministrazioni comunali e dalle aziende sanitarie che hanno risposto ai questionari inviati dall'associazione. Un numero esiguo: 1.162 risposte, ovvero circa il 15% di tutti i Comuni d’Italia e 45 dalle aziende sanitarie, equivalenti al 39,5% del totale.
I cani in Italia? potrebbero essercene 11 milioni. Anzi 27. O forse 21 milioni
Un dato su tutti, prima di analizzare singolarmente gli altri numeri che si evincono, è l'impossibilità nel nostro Paese di stabilire un numero certo di cani presenti sul territorio, di proprietà e vaganti. Prima ancora di leggere lo sconcertante risultato dell'analisi, è bene ricordare che in Italia il cane è l'unico animale d'affezione soggetto a registrazione obbligatoria, ovvero a microchippatura e iscrizione all'anagrafe canina.
Legambiente è arrivata a dover rendere noto che «i cani presenti in Italia a dicembre 2019 oscillano tra gli 11.630.000 e i 27.300.000» per poi aggiungere anche che, però, potrebbero essercene 21.480.265.
Come è possibile un risultato così enormemente discordante? Ecco cosa dice il report: «Secondo le anagrafi regionali ne risultano 11.630.328; se partiamo invece dalle informazioni pervenute da 50 Comuni di diverse regioni italiane che hanno fornito i dati migliori rispetto all'anagrafe canina, in Italia dovrebbero esserci 27.312.000 cani (cioè un cane ogni 2,21 cittadini). Se però consideriamo le informazioni ricevute da tre Aziende sanitarie locali di Emilia Romagna, Umbria e Abruzzo che hanno fornito i dati migliori rispetto all'anagrafe canina, i cani sarebbero 21.480.265 (un cane ogni 2,81 cittadini)».
Il perché di questo assurdo gap, che tradotto significherebbe accettare che ci possano essere allo stesso tempo oltre undici milioni di esemplari e anche quasi il triplo, è da ritrovare nella confusione attuale che c'è in Italia su chi abbia la responsabilità in merito alla tutela e al rispetto delle regole in materia di benessere animale.
Ma l'unica realtà certa si può ridurre in poche parole: non esiste, semplicemente, un'anagrafe canina nazionale che raccoglie tutti i dati,come spiega in un passaggio chiave Legambiente nel suo report: «La responsabilità del principale strumento di conoscenza su presenza e cambiamenti nella popolazione degli animali d’affezione presenti in città è l’Anagrafe degli animali d’affezione, quasi ovunque in capo alle Regioni, tramite i Servizi veterinari delle Aziende sanitarie, mentre solo in poche aree del Paese sono le Amministrazioni comunali a gestire l’anagrafe (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia).
Questa separatezza nella gestione delle banche dati continua a produrre molti più svantaggi che benefici. Anche l’assenza di un’anagrafe nazionale obbligatoria per tutte le altre specie in possesso degli italiani come animali d’affezione, a partire dai gatti ma senza escluderne alcuna (rettili, uccelli, furetti, conigli, criceti, ecc.), aumenta le difficoltà di prevedere, prevenire e correttamente fornire servizi e controlli ai cittadini che condividono la loro esistenza con dei pet».
Randagi, padronali, di quartiere: la complessa situazione dei "cani vaganti"
Altro capitolo senza conclusione è quello relativo ai cosiddetti "cani vaganti", definizione nella quale vengono inclusi i randagi, i cani di quartiere e i cani padronali e nella quale, cosa che non è segnalata nel rapporto di Legambiente, si potrebbero includere anche i ferali. Per "randagi" di solito, nel linguaggio comune, si intendono i cani in libertà su un territorio ma ci sono diverse tipologie in realtà. Legambiente tiene in considerazione i "cani di quartiere", ovvero animali che sono liberi ma seguiti da volontari e amministrazioni locali e i "padronali": cani che vagano in determinate aree ma hanno un essere umano di riferimento (anche se in altissima percentuale non sono microchippati e spesso, quando finiscono in canile, non vengono reclamati).
Estrapolando i dati del dossier, viene fuori un dato riscontrato soprattutto nei Comuni di minore dimensione e delle aree interne o delle regioni meridionali e che ha come riferimento numeri che vengono fuori dai canili. La fotografia è dunque un confronto tra Comuni del Nord e del Sud che descrive una realtà completamente differente nel rapporto tra popolazione umana e canina, decisamente abissale nella quantità di cani che sono reclusi nel Meridione: «Se a Milano (1.378.689 cittadini) vi erano 165 cani in canile a fine 2018, a Villa Serio (6.780) ve ne erano 200, a Matelica (9.612) 220, a Lanciano (34.899) 224, a Correggio (25.485) 250, a Tivoli (56.472) 287, a Cava dei Tirreni (52.931) 290, ad Alghero (43.931) 324, a Porto Torres (22.126) 359, a Gioia del Colle (27.573) 437, a Bisceglie (55.251) 450, a Reggio Calabria (180.369) 597, a Sassari (126.870) 679, a Terni (110.749) 741, a Latina (126.746) 751, a Catania (311.594) 1.415» .
Qualche esempio su tutti: le situazioni di chiara difficoltà gestionale emergono, ad esempio, a Latina che, nel 2018, ha visto entrare nel canile 245 cani vaganti, di cui solo 10 restituiti ai proprietari, 98 dati in adozione, 12 liberati nel territorio come cani di quartiere, 47 deceduti in canile e ben 751 cani presenti in canile a fine 2018. Il tutto senza dire quanto abbia speso il Comune per questa "gestione".
Quanto costa a un cittadino questa confusione? Dipende da dove vive
Lì dove riescono a emergere dai dati una spesa complessiva pari a 220.915.938 euro nel 2018 per la "gestione degli animali in città", quando si va a scorporare questo macro dato si evince chiaramente che le amministrazioni pubbliche differiscono nettamente sia nella gestione, appunto, che nel costo attribuito ai singoli cittadini. I Comuni dichiarano, infatti, di aver speso per questa voce 176.853.470 euro, a cui vanno sommati i 44.062.468 euro spesi dalle aziende sanitarie. Scendendo nei particolari, si nota che il Comune di Verona è quello che, a fronte di servizi di qualità, registra la spesa minore: 1,43 euro a cittadino. Mentre tra i comuni che più spendono per offrire invece servizi scarsi, c'è Montalbano Jonico, in Basilicata: 30,34 euro a cittadino di fatto solo per gestire i cani in canile.
Nel dettaglio: la spesa sostenuta da Comuni e aziende sanitarie locali
Amministrazioni comunali: la spesa pubblica dichiarata da 787 sulle 1.162 Amministrazioni comunali che hanno risposto in modo completo al questionario, corrispondenti a 13.486.217 cittadini, ammonta a 39.569.011,00 euro/anno nel 2018, con un costo medio di 2,93 euro/cittadino. Quindi la spesa stimata per tutte le 7.914 Amministrazioni comunali italiane (popolazione 60.359.546) equivale a 176.853.470,00 euro/anno 2018.
I cinque Comuni che dichiarano di spendere di più sono, in ordine decrescente, Loro Piceno (MC) 364,74 euro/cittadino, Morciano di Leuca (LE) 164,15, Pescopennataro (IS) 39,53, Buscemi (SR) 34,76 e Montalbano Jonico (MT) 30,34.
I cinque Comuni che dichiarano di spendere meno sono Dicomano (FI) con 0,02 euro/cittadino, Castel Campagnano (CE) 0,02, Bonate Sotto (BG) 0,02, Fai della Paganella (TN) 0,02 e Sant'Ambrogio di Valpolicella (VR) 0,03.
Aziende sanitarie locali: la spesa dichiarata da 28 sulle 45 Aziende sanitarie che hanno risposto al questionario, corrispondenti a 19.725.771 cittadini, fornendo solo alcuni dei costi del settore sostenuti nel 2018, è per una somma di 14.466.959,00 euro/anno, con un costo medio di 0,73 euro/cittadino. Pertanto, basandosi su questo valore, la spesa di settore stimata, per il 2018, per tutte le Aziende sanitarie italiane (popolazione 60.359.546) è di 44.062.468,00 euro/anno.
Soldi spesi bene, in ogni caso? Decisamente non da tutti, visto che la situazione di tutela del benessere animale non è migliorata e sono del tutto inesistenti azioni rivolte ai cani che possano garantire loro il diritto a occupare questo Pianeta, evitando contestulamente una continua sovrapopolazione dovuta alla inettitudine delle Istituzioni e alla poca sensibilità delle persone. Solo il 13% dei Comuni ha, infatti, fatto campagne di sterilizzazione nel 2018 (per circa 25.000 cani secondo le stime). La percentuale sale al 60% per i Comuni capoluogo. Il 12% dei Comuni ha fatto campagne di microchippatura dei cani (17% nei Comuni capoluogo). Campagne antiabbandono e informative sono state realizzate solo nel 18% dei Comuni e nel 43% dei capoluoghi.
Anche sui gatti il quadro è completamente diverso dalla realtà
Un breve accenno merita anche la parte del dossier in cui si analizza la popolazione felina. Meno rappresentativa a livello statistico proprio perché non vi è obbligo di registrazione come per i cani, ma altrettanto chiara nel descrivere la confusione totale in cui gli animali soggiacciono secondo norme non attuate o, appunto, nemmeno esistenti in Italia.
«Per i gatti - riporta Legambiente - i dati dell’anagrafe restituiscono un quadro molto distante dalla realtà: sono registrati solo 602.421 animali. Ma se si considerano i numeri dei gatti presenti nelle colonie feline forniti da 250 Comuni, gli esemplari sarebbero almeno 1.020.646. Mentre sarebbero circa 2.395.000 (uno ogni 25,2 cittadini) i gatti presenti nel Paese stando ai numeri ricevuti da 50 Comuni di diverse regioni italiane, e almeno 1.378.071 gatti (uno ogni 43,8 cittadini) secondo le informazioni ricevute da 3 Aziende sanitarie locali di Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna che hanno fornito i dati “migliori” rispetto all’anagrafe felina. In realtà, come confermano tutte le indagini relative alla presenza di animali da compagnia nelle case degli italiani, il numero dei gatti in Italia sarebbe simile a quello dei cani».
Al di là dei numeri e dei dati, comunque, è forse quanto dichiarato da Antonio Morabito, presidente di Legambiente che vale infine la pena sottolineare. Qualora si volesse stilare una classifica delle realtà più in difficoltà, bisognerebbe prima dare il giusto peso al fattore che determina questa situazione di totale confusione, a discapito degli animali in primis, in cui il nostro Paese si trova anche dal punto di vista del benessere animale: «Le situazioni peggiori sono innanzitutto quelle delle amministrazioni pubbliche che non forniscono alcuna informazione, un pessimo segnale di scarsa trasparenza e nessun interesse nel dare informazioni alla collettività».